I fazzoletti di carta, ormai, sono diventati un accessorio scontato nella nostra vita, come il portafoglio, il cellulare, le chiavi della macchina e le gomme da masticare È uso comune utilizzarli ogni volta che siamo raffreddati o quando una fastidiosa allergia ci costringe a naso chiuso e continui starnuti. Anzi, addirittura ne portiamo un pacchetto con noi anche se non ne abbiamo impellente bisogno, perché a chiunque, in qualunque momento, può capitare di doversi soffiare il naso, pulire le mani o asciugare qualche lacrima.
Qualche giorno fa rimuginavo proprio su questo e non ho potuto fare a meno di trovare delle similitudini con l’approccio che sempre più, oggi, si ha con la vita: un fazzoletto – o Kleenex – è lì, pronto all’uso, lo prendiamo, ne usufruiamo e poi lo buttiamo via. Molti ne fanno un uso “mono” nel senso che lo utilizzano una sola volta, mentre altri, la maggior parte per fortuna, adottano la pratica “multi”… ma per quanto? Una volta, due, tre, quattro al massimo, poi ci si accorge che il fazzoletto comincia a lacerarsi, non può tollerare più di tanto, non è stato concepito per questo. E allora cosa si fa? Si butta via e dal pacchetto se ne prende un altro, con la consapevolezza che il rito si ripeterà nuovamente e che, all’occorrenza, un altro rettangolo bianco andrà a sostituire il precedente e sarà capace di fornire lo stesso servigio. Non è che forse stiamo imparando a gestire e concepire nella stessa maniera le cose e le persone che entrano nella nostra vita? Usa e getta, una uguale all’altra, per il tempo necessario, finché riescono a soddisfare le nostre esigenze e quando non sono più così utili e comode le buttiamo nel cestino, tanto nel pacchetto o al supermercato ne troveremo altre, uguali in tutto e per tutto e non ci preoccuperemo di dare all’oggetto o all’essere umano un suo valore, una sua identità, forse per paura, forse per superficialità o forse solo perché sta diventando un’abitudine fare così.
Ai tempi dei nostri nonni e dei nostri genitori si usavano i fazzoletti di stoffa: meravigliosi e colorati rettangoli di diverse fattezze, varie consistenze, in solido cotone, indistruttibili, unici. A forza di usarli diventavano delle palle ingombranti che gonfiavano le tasche e le nostre mamme li mettevano in lavatrice, li stiravano e li ritrasformavano in variopinte mattonelle che riempivano i cassetti e che profumavano di sicurezza. Si potevano ricamare con le iniziali del possessore, si tramandavano nelle famiglie, diventavano pezzi di tradizione, nonostante il tempo, i lavaggi e i maltrattamenti a cui venivano sottoposti, perché quella era la loro funzione: asciugare le lacrime, il sudore, accarezzare il naso provato da una brutta influenza, diventare una protezione per il sole e assorbire le tante storie a cui venivano chiamati ad assistere. Diventavano pezzi di vita, ricordi.
Così erano le cose un tempo. Avevano un che di stabile, magari con tante controindicazioni, ma molte erano autentiche, originali, sbiadite dal tempo, intrise di racconti, perché non c’era consumismo, esisteva la costanza e la consapevolezza che ogni pezzo di vita, oggetto o persona, aveva un valore. E allora, mi chiedo, è davvero così comodo e rassicurante applicare lo stile usa e getta in ogni ambito della nostra esistenza? In alcuni casi non sarebbe meglio rammendare il vecchio fazzoletto di stoffa, lavarlo e stirarlo per l’ennesima volta, accorgerci che i colori originari non ci sono più, ma lui è ancora lì, che basta frugarci nelle tasche per ritrovarlo e soffiarci dentro la nostra storia?
A.
0 pensieri su “LA FILOSOFIA DEL KLEENEX (ovvero sulla vita usa e getta)”
In questo articolo, nonostante la critica alla attuale predisposizione alla vita della maggioranza delle persone, c’è un non so che di rassicurante. Sarà forse il bisogno di ritornare alle origini, ai profumi ed agli odori della nostra infanzia/adolescenza. Io stessa quando penso a questi meravigliosi rettangoli di stoffa ricordo il mio amato nonno e le mie estati nella casa di campagna. Estati per me selvagge perché nessuno mi controllava, anche se in realtà il pericolo maggiore a cui mi esponevo era una qualche sbucciatura/ bernoccolo o qualche incontro ravvicinato con insetti dai mille colori e forme. Il nostro voler andare avanti, essere cosmopoliti, autonomi ed indifferenti agli altri ci sta portando al risultato inverso. Guardiamo sempre più spesso indietro, alle nostre origine, alla vita dei nostri nonni, anche la moda stessa è tutta un ripercorrere le grandi gesta del passato. E’ in quello che ricerchiamo la sicurezza: nella rivisitazione degli oggetti del passato. Il Vintage come similitudine della nostra attuale condizione di vita. Non siamo più capaci a vivere, troppe sono le paure: il lavoro,il precariato, l’amore, i figli, i rapporti affettivi di qualunque genere, l’amicizia stessa viene messa in crisi perché se poi l’amico ci tradisce cosa succede?I giovani preferiscono l’affitto anziché comprare la casa perché pensare di avere un mutuo per 30 anni fa più paura del progetto e la crescita personale che una azione del genere comporta. Ma chi ha coscienza e consapevolezza di questo pericolo, del rischio della completa perdita di identità, ha l’obbligo morale di denunciarlo e di farlo presente a chi si è completamente adattato a questa condizione, a chi ha smesso di vivere per sopravvivere. Ritornare allo stile di vita dei nostri antecedenti potrebbe essere la salvezza alla perdita di entusiasmo verso la vita che contraddistingue le nostre generazioni. Quindi perché non smettere di comprare i Kleenex ed iniziare a fare visita più spesso (chi ha ancora la enorme fortuna di averli) ai nonni per farci raccontare come era “quando si stava peggio, anche se in realtà si stava meglio”?
Devi accedere per postare un commento.