Ore 5.30 di notte: mi giro e rigiro nel letto. L’insonnia dell’ottavo mese di gravidanza mi costringe a contare i minuti. L’alba comincia a fare capolino, si mangia pezzetti di notte con dolcezza e io mi ritrovo a pensare ai miei nonni. Succede così, per caso forse, o per una concatenazione di pensieri a cui non riesco a dare un ordine.
Cristoforo e Onorina… nomi bizzarri che profumano di antico. Cristoforo e Onorina. Due che si sono presi e amati come succede nei film, si sono scelti, si sono aspettati, in un’epoca in cui l’amore era sottovalutato, in un periodo storico in cui la donna era un animale domestico o poco più, tra due guerre mondiali, con la distruzione e la ricostruzione alle porte. Si sono scelti, si sono amati fino alla fine, e soprattutto non si sono mai vergognati di raccontarci chi erano e quanto avevano faticato per i loro ideali.
I nonni. Quanto sarebbe bello poterli vivere a lungo, fino all’età adulta in modo da avere la maturità per potersi godere a pieno la loro saggezza. Invece spesso ci vengono strappati via troppo presto e di loro non rimane che qualche sbiadito ricordo. Mio nonno è morto che avevo cinque anni. Potrei dire che non ho ricordi di lui e invece non è così. Dentro di me ho congelato tutto quello che potevo all’epoca e lo conservo gelosamente. Forse non sono proprio ricordi, forse sono più che altro memoria di sensazioni, come quando mi prendeva in braccio per farmi toccare l’uva che pendeva dalla pergola della casa di sua sorella, o come quando stavo imparando a camminare e non volevo nessuno alle mie spalle se non lui… non sono ricordi nitidi, sono sensazioni del corpo, le sue mani solide che mi sorreggevano, la sua ombra su di me mentre goffamente provavo a muovermi nel mondo, il senso di protezione che quell’uomo alto e magro mi ha sempre trasmesso. Guardo una sua foto che ho nello specchio della camera da letto: lui è di tre quarti, guarda in basso e ha un sorriso dolcissimo. Mi hanno raccontato che in quella foto teneva in braccio me che avevo pochi giorni… Era un uomo di altri tempi mio nonno, nel vero senso della parola. Uno che ha sempre rispettato mia nonna, che l’ha amata così profondamente da non imbarazzarsi nel mostrare questo suo amore, uno che ha lottato per i diritti dei lavoratori quando i diritti i lavoratori non sapevano nemmeno cosa fossero, uno che non si è mai lasciato corrompere dalle cose facili, che ha rischiato di rimetterci pur di mantenersi onesto, sempre sincero, schietto, con le sue idee, certo, e i suoi difetti – come diceva burberamente mia nonna “Ehhhh ma guardate che pure lui aveva i suoi difetti eh?!? mica solo io…” e poi sospirava mestamente perché quei difetti lei li avrebbe voluti ancora per tanti anni al fianco e invece mio nonno ormai non c’era più.
Ricordo bene i pomeriggi d’inverno in cui facevo una pausa dallo studio e scivolavo in cucina dove mia madre magari stava stirando e mia nonna faceva all’uncinetto una delle tante coperte per noi nipoti. Mi sedevo tra loro e con una tazza di tè in mano mi inserivo in quelle chiacchiere fatte di quotidiano e di buono, di sano. Poi, chissà perché, mia nonna tirava in ballo uno dei suoi ricordi e io non mi lasciavo perdere l’occasione per chiederle di raccontarmi un’altra volta – probabilmente l’ennesima – una delle sue storie di vita. Lei borbottava un po’ all’inizio, poi, mentre con la mano destra teneva ancora in mano l’uncinetto, con la sinistra si toglieva gli occhiali e se la poggiava in grembo… e cominciava. Quante volte ho sentito quelle “storie”: sembravano uscite da un film e invece erano vita vera. La casa bombardata di notte, la fuga con la bimba piccola (mia zia), le notti trascorse in campagna in rifugi di emergenza, le macerie, le speranze di un futuro distrutte, i parenti scomparsi, l’aereo che li ha mitragliati mentre tornavano a casa e loro che si sono buttati in un fosso per salvarsi, le ferrovie, i sogni, e la forza di non sentirsi mai vittime ma di cercare e trovare sempre la voglia di ripartire, uniti, innamorati, forti di quell’amore autentico dove non c’era posto per domande esistenziali, dove c’era l’umanità e la cooperazione, dove le difficoltà si risolvevano con le discussioni, crescendo insieme e amando comunque la vita. Ecco, io quei racconti ce li ho stampati nella testa, proprio come le immagini di un film in bianco e nero, mi basta niente per vedermele scorrere davanti. E l’importanza di quei ricordi non sta solo nel valore “storico” ma soprattutto negli infiniti insegnamenti che arrivavano durante quei pomeriggi: non mi basterebbero mille pagine per elencarli tutti, ma sono qui, dentro di me, dentro mia sorella, dentro i miei cugini. Ogni tanto li tiriamo fuori dal cilindro e riusciamo a capire un pezzetto in più di questa vita spesso contorta.
Ancora oggi, quando va a fare la spesa nel mercato dove andavano anche i miei nonni, a mia madre capita di parlare di loro con qualche venditore che li ha conosciuti: fa impressione sentire queste persone ricordarli con così tanto affetto, vedere che qualcuno vela lo sguardo di commozione nel parlare di quanto fossero uniti, la dolcezza di mia nonna, la gentilezza e l’educazione di mio nonno. Qualche giorno fa mentre parlavo con Edoardo, il mio compagno, ho detto qualcosa tipo “Mia nonna diceva sempre che…” e lui mi ha guardato e ha esclamato “Quanta saggezza c’era in tua nonna… spesso riporti suoi pensieri che sono dei veri insegnamenti di vita, anche oggi”. Non ci avevo mai pensato. Certo, i miei nonni sono sempre stati nei nostri discorsi di famiglia, anche con i miei cugini li tiriamo spesso in ballo, ogni volta che ci vediamo non manca occasione per ricordare la nostra infanzia e la loro presenza, ma mai mi ero resa conto quanto la loro ricchezza ce l’abbiano trasmessa in modo così delicato e duraturo. Ci hanno regalato le loro esperienze di vita, attraverso i loro ricordi abbiamo imparato ad apprezzare l’essenza delle cose, ci hanno dato indirettamente strumenti che non hanno tempo e non hanno età perché sono valori universali… e probabilmente, mentre lo facevano, non erano così consapevoli di quanto ci stessero donando.
Lo so che non tutti i nonni sono uguali. Eppure in ogni persona c’è un vissuto che merita di essere ascoltato. I nonni hanno una magia unica, ma spesso siamo troppo giovani e troppo distratti dalla smania di crescere per fermarci un po’ con loro. Le persone anziane nascondo quasi sempre grandi tesori di vita nei loro racconti, dovremmo sempre trovare qualche minuto per ascoltarli e rispettarli.
Ringrazio quei pomeriggi d’inverno fatti di racconti al tè e biscotti, quelle domeniche d’agosto in campagna, quei Natali stipati in venti in un soggiorno con il tavolo dei piccoli e il tavolo dei grandi, ringrazio la mia caparbietà che voleva solo mio nonno per imparare a camminare costringendolo a fastidiosi mal di schiena, ringrazio il pane e zucchero per merenda, la recita di Natale, i ravioli ricotta e cacao, le storie di guerra che non facevano paura perché la dolcezza di mia nonna le rendeva sopportabili, ringrazio mia madre e mia zia che hanno tenuto in vita i loro genitori attraverso parole e gesti tramandati. Oggi che sto per diventare madre per la prima volta non so che darei per averli qui con me e condividere con loro anche solo 5 minuti della mia vita, delle mie paure, delle mie domande… ripenso a quante cose ho fatto e vissuto senza di loro, a quanto li avrei voluti al mio fianco. Mi si forma un groppo in gola… poi, mentre il sole illumina di gioia questo nuovo giorno, sento che dentro di me si fa strada un pensiero confortante: i miei nonni non sono qui da tanto tempo ma vivono comunque dentro di me e saranno, in piccola parte, anche in mio figlio. Adesso posso provare a dormire un po’, sono più tranquilla.
Probabilmente è vero che l’unica vera forma di eternità non è l’immortalità, ma il continuare a vivere, anche dopo la morte, attraverso i ricordi di chi ci ha amato.
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