Sono attonita, ammutolita. Le mie braccia sono lungo i fianchi, le sento pesanti. Non ho la forza di pensare, di agire. Andrea mi parla ma non riesco a girare la testa, a sentire quello che mi sta dicendo. Ascolto la notizia al telegiornale e non ci voglio credere. Prima Nimrud e adesso Hatra. Dopo cena mi metto davanti all’Ipad e inizio a scrivere. Una lacrima scende sulle mie guance. Devo sfogare in qualche modo tutti i sentimenti che sto provando in questo momento. Non posso fare altro ora che ricordare, cercare nella mia mente le immagini e le sensazioni registrate ormai molti anni fa. Penso che se non fosse stato per i miei genitori ora non avrei quei ricordi.
Mi sento in dovere di dire loro grazie. Avete fatto in modo che io potessi vedere con i miei occhi e potessi capire cose che ora non esistono più, che nessuno mai più potrà vedere perché da oggi Nimrud e Hatra non ci sono più. Nonostante gli anni passati ho tutto impresso a fuoco nella memoria.
Scossa dal Toyota che corre sulla strada guardo fuori dal finestrino e osservo il paesaggio: brullo e spoglio. Edifici malmessi, scrostati, con infissi di fortuna sfrecciano davanti a me e interrompono il monotono giallo del deserto. Non ci sono alberi qui, ne arbusti lungo la strada, solo copertoni accantonati sul ciglio.
All’improvviso mamma ci dice che siamo arrivati. In lontananza, davanti all’auto, delle macchie più scure prendono forma e le rovine millenarie si alzano e si definiscono sempre di più a contrasto con il cielo. Salto fuori dall’alto fuoristrada.
Il sole è intenso e l’aria secca. All’orizzonte uno strato di polvere unisce il cielo alla terra.
Il ricordo più vivo che ho sono i colori la cui intensità toglie il fiato: le sfumature ocra delle rocce del deserto che, come nel più classico contrasto dei colori complementari, si stagliano nel blu più vivo che mai.
Ci avviciniamo al botteghino. Quattro o cinque uomini, qualcuno in sovrappeso, in divisa e baffi, stile Saddam, ci accolgono con un sorriso. Gli iracheni li ricordo sorridenti, non so perché. Ho sempre pensato a loro come a brave persone; mai ho letto nei loro occhi odio o diffidenza.
Paghiamo il biglietto, pochi miseri Dinari.
Iniziamo il nostro percorso tra le rovine, imponenti e misteriose. Mamma ci prende per mano, a me e mio fratello. Marco è troppo piccolo per capire. Mentre babbo fa le foto, mamma ci racconta storie incredibili di popoli colti, eruditi che hanno inventato la matematica, che guardavano le stelle studiandole. Sono stati i primi ad utilizzare la scrittura. Scrivevano in modo strano e su argilla fresca. Mi racconta di persone, uomini donne e bambini che, schiavi, hanno contribuito ad innalzare pietre enormi per erigere templi di una bellezza sconcertante. Mi aggiro tra le colonne, le pareti decorate dai bassorilievi. Le città di Nimrud e Hatra sono immobili come in una fotografia, sospese nel tempo. Mi viene da trattenere il fiato per non disturbare le statue rappresentanti figura alate che sembra debbano prendere vita da un momento all’altro. Sono ferme nel l’attimo prima di prendere il volo. Sono intimorita dalla loro imponenza. Mamma mi insegna il rispetto e la deferenza per ciò che è stato fatto da popoli vissuti prima di noi. Quelle mura, un po’ crollate, un po’ ricostruite sono uniche, dice, non ce ne sono altre in nessun posto al mondo. Io comprendo, assimilo, registro.
Gli anni passano e penso che forse noi occidentali abbiamo defraudato questi luoghi dei loro tesori e con le campagne archeologiche ci siamo appropriati, portando via, cose che non ci appartenevano.
Ironia della sorte ora ringrazio chi inconsapevolmente lo ha fatto.
Ora voglio fissare le sensazioni provate all’epoca per non scordarle mai e voglio ringraziare mamma per avermi raccontato storie che mi hanno incantato, ringrazio babbo perché con la sua scelta di vita mi ha dato la possibilità di vivere esperienze che pochi hanno potuto fare. Mi sento una privilegiata perché ho visto siti come Nimrud e Hatra.
La cosa che mi fa più male è che, secondo me, tutta questa faccenda è costruita ad arte, perché chi ha distrutto senza il minimo rimorso, chi ha sgozzato uomini senza un tremito della mano sono ragazzi occidentali, lobotomizzati da videogame violenti, resi ignoranti da una scuola lasciata scadere, cresciuti da una società priva di valori, il cui interesse primario è il denaro.
Ringrazio i miei genitori per avermi cresciuto nel rispetto dell’altro, del diverso, della cultura e dell’arte. E ringrazio di essere nata ed essere cresciuta in un periodo in cui i valori di umanità e amore erano ancora forti, e di essere cresciuta in luoghi lontani dagli stereotipi creati per odiare e diffidare.
Ho vissuto con persone di ogni parte del mondo e in modo naturale, senza che nessuno me lo dicesse, li ho sentiti miei pari anche se a volte le lingue ci impedivano di comprenderci.
Devo smettere di scrivere ora perché i sentimenti prendono il sopravvento e non riesco più a dare una logica ai miei pensieri. Ora scriverei cose che sono complesse e contraddittorie che non voglio legare ai ricordi che ho descritto qui. Voglio fermare l’unica sensazione positiva che provo in questo momento, la consapevolezza di essere una persona fortunata e privilegiata per aver visto Nimrud e Hatra nel loro splendore.
Voglio fermare l’unica sensazione positiva che provo in questo momento, la consapevolezza di essere una persona fortunata e privilegiata per aver visto Nimrud e Hatra nel loro splendore.
Pics by Mario Sartori, My Father
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