Eccomi alle prese con la sindrome da foglio bianco che per molto cose è comparabile alla sindrome premestruale (entrambe sono fastidiose e ti fanno sentire come se fossi vittima di te stessa). In realtà non è del tutto vero, io un argomento da trattare con voi lo avrei, ma non so quale sarà la VOSTRA reazione a questo mio post.
Ho comunque bisogno di sfogarmi e voi siete i migliori ascoltatori a cui rivolgermi (la mia famiglia, i miei amici ed il mio “quasi fidanzato” questa volta non possono aiutarmi, siamo tutti reciprocamente troppo coinvolti) .
Ho sempre cercato di essere una persona positiva ed i miei post lo possono dimostrare, ma non questa volta. Sento la visione positiva che ho delle cose scivolarmi addosso e lasciare spazio ad una sorta di apatia e di rassegnazione. Chi ha seguito fin dall’inizio i miei articoli avrà capito (anche se non l’ho mai dichiarato esplicitamente) che il mio più grosso “fardello” in questo momento è la questione LAVORO. Io lavoro, non sono disoccupata (per quanto ho una formula lavorativa delle più svantaggiose con ben poche gratificazioni sia professionali che economiche) e quotidianamente convivo con l’idea che l’avere un lavoro di questi tempi è una fortuna e che devo ringraziare di avere questa opportunità che molti miei coetanei non hanno. E già questa affermazione insinua il germe della paura, dell’indecisione e del senso di colpa in chi convive ogni giorno con un disagio al quale non può o non riesce – come nel mio caso – a ribellarsi. Per tutto questo tempo ho sempre stretto i denti, ho cercato di essere umile, di non rispondere male, di non farmi sopraffare da una arroganza che a volte (causa un po’ la mia età) tenderebbe ad avere il sopravvento su di me. Ho accettato con un sorriso i pochi complimenti ricevuti in questi quasi tre anni e con la stessa buona predisposizione ho accolto le innumerevoli critiche colpevolizzando me stessa e non chi mi puntava il dito contro. Quelli che hanno una conoscenza solo superficiale di me hanno interpretato questo mio comportamento come un segno di debolezza, di incapacità a difendermi. Ma si sbagliano, è una visione troppo semplicistica delle cose giudicare una persona forte o debole a seconda se alza la voce oppure no. Io adesso lo so, ma fino a poco tempo fa troppo spesso mi sono sentita una ragazza con poca personalità. Non sono e non voglio diventare una martire, semplicemente mi sono trovata in una difficile realtà lavorativa proprio nel momento in cui avevo bisogno di affermarmi professionalmente, di trovare le conferme delle mie capacità e possibilità lavorative. La mia è una età difficile, sono già una donna ed ho le mie conferme sul piano relazionale ed affettivo, ma ancora non ho una percezione di me sul campo professionale e questa prima esperienza avrebbe dovuto darmi l’opportunità di comprendermi come lavoratrice. Ed invece ciò non è accaduto. Eppure, nonostante tutto, so che parte della colpa è anche mia e che avrei dovuto fin dall’inizio imparare a dire più spesso no anziché offrire la mia disponibilità anche a chi già sapevo se ne sarebbe approfittato. Ma questa sono io: odio la parola NO, mentre amo il SI e non volevo snaturarmi proprio nell’ambito che più ho a cuore, il lavoro. Io sono la classica donna che crede che il lavoro determini la persona e mi sono sempre ripromessa di non vedere il lavoro come un mezzo per ottenere ciò che mi piace, ma di amare quello che faccio quotidianamente. Credo che questo sia il motivo principale per cui questa esperienza lavorativa ha avuto su di me un impatto così duro, tanto da farmi mettere in discussione quelle poche certezze che, con fatica e con scelte a volte dolorose, avevo imparato ad avere negli anni. Ultimamente però ho deciso di smettere di vedermi come una vittima, come una ragazza indifesa che subisce la tirannia di chi ha una personalità più “forte”, come tante persone a me vicine cercano di farmi credere. Io sfido chiunque ad entrare tutte le mattine a testa alta e con tutti i buoni propositi in un ambiente ormai tendenzialmente ostile, a continuare a mettersi in discussione cercando di migliorarsi, a mantenere una dignità ed un amor proprio che neanche io sono più così convinta di avere. E’ questa la mia forza, non essermi fino ad oggi arresa a chi avrebbe voluto una mia “capitolazione”, non l’ho mai fatto e questo è l’unico motivo per cui ho resistito tanto a lungo. Ora però devo un po’ rivedere il mio ruolo lavorativo e mettermi in gioco veramente: agli altri ho dimostrato la mia coerenza a perseguire gli impegni presi, adesso la devo dimostrare anche a me stessa. Ora è il momento di cercare l’OPPORTUNITÀ, quella vera, quella che mi farà amare quello che faccio quotidianamente e mi farà alzare felice di andare a lavoro (stop al mal di stomaco, gastrite ecc..). Chiedo solo che in questo momento così difficile mi venga data una opportunità e, come a me, anche a tutti i miei “colleghi di sventura” che ancora cercano la loro strada per capire chi sono e per far sentire la loro voce. Scusate il lungo sfogo, ma so che molti di voi mi capiranno perché, come me, vivono quotidianamente lo stesso disagio.
Carolina
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