Ce lo hanno detto mille volte, ci siamo sforzati di dirlo agli altri, magari ne abbiamo fatto un po’ una filosofia di vita ma… ci siamo mai veramente soffermati a rifletterci su? No, perché ormai sono anni che rimugino sulla questione di questo benedetto bicchiere: ma che diavolo vuol dire mezzo pieno o mezzo vuoto? Non voglio sfociare nel filosofico perché non è materia che mi compete, ma anche un occhio inesperto noterebbe la palese contraddizione insita in questo usatissimo modo di dire.
In mezzo, la metà è, per definizione, qualcosa che si colloca al centro, la metà, appunto, di un intero, pertanto non esiste né un pieno né un vuoto. Ovvio, direte voi, il fulcro sta proprio in questo: dipende dal punto di vista, dal modo di approcciarsi alle cose, se in modo positivo o negativo. D’accordo, ne convengo. Ma, mi chiedo e vi chiedo, il punto di vista è solo questo? Frontale? Perché a me sembra che una questione, soprattutto se importante, andrebbe osservata da più prospettive possibili. Per esempio, questo bicchiere l’avete mai osservato dall’alto? Io sì e vi assicuro che la visuale si fa interessante: il livello non è visibile e pertanto il bicchiere sembra sempre pieno. E dal basso? Beh certo, in questo caso il bicchiere andrebbe collocato su una superficie trasparente… ma deve essere per forza poggiato su qualcosa? Non può stare sospeso così che uno ci possa girare intorno e guardarlo da ogni angolazione? Che poi tante volte mi sono anche domandata che forma abbia il bicchiere: un calice, da acqua, da spumante, da grappa, da caffè, da birra. E il materiale: di vetro, di carta, di plastica, di cristallo. Alto e slanciato ma sottile, di quelli in cui a malapena si riesce a infilare il naso, oppure largo e un po’ tozzo, ma comodo e maneggevole? Ve la state ridendo vero? Pensate che stia delirando… eppure io credo che, ogni volta che qualcuno ha tirato in ballo questo modo di dire, ognuno si è immaginato un personalissimo bicchiere, magari anche collocato in un posto preciso. Dunque, se così fosse, potreste concordare con me che la verità è una sola: il bicchiere non esiste, ma è solo una costruzione mentale, soggettiva aggiungerei. Tutto qui? E’ molto di più di tutto qui. E’ il punto fondamentale. Se il bicchiere non esiste possiamo decidere liberamente cosa farne, come averlo e da quale angolazione guardarlo e, cosa più importante, possiamo decidere quanto riempirlo. Ma il livello del liquido (acqua? vino? birra? sciroppo? succo di frutta? aranciata?) non è importante nel senso della prospettiva con cui ci si avvicina alla vita, piuttosto per la quantità di soddisfazione che da essa vogliamo ricavare. Siamo sinceri: se siamo assetati, mezzo bicchiere fa veramente poco; se non c’è rimedio ci accontenteremo di quella metà, ma sarà inevitabile percepire un senso di frustrazione dentro di noi. A volte sapersi accontentare è molto saggio, ma la magra consolazione rimane tale, anche se ci costringiamo a mascherarla da pieno appagamento.
Se invece non abbiamo sete, prendiamo il bicchiere, lo portiamo alle labbra e diamo qualche sorsetto, così, più per educazione che per necessità.
Una visione relativa, ecco cosa mi trasmette questo usatissimo modo di dire. Un’approssimativa maniera di piegare la realtà ad una storpiatura mentale che ci fa vedere le cose o in un modo o in un altro, bianco o nero, zero o uno, on o off. Ma non credo funzioni davvero così. E in ogni caso, sembra che vedere il bicchiere mezzo vuoto sia un delitto. Cosa vorrebbe dire, che dobbiamo fare dell’ottimismo uno stile di vita? Solo la ben nota Pollyanna riusciva a vedere sempre tutto con una prospettiva “mezza piena”, tanto che nella psicologia cognitiva esiste la cosiddetta “sindrome di Pollyanna”, ma se sbirciate su internet scoprirete che non è certo un modo così sano di affrontare sistematicamente la vita. Provate a vedere il bicchiere mezzo pieno se vi siete chiusi il dito dentro un cassetto, o se avete sbattuto il mignolo del piede contro uno spigolo, se vi hanno fracassato lo specchietto della macchina, se vi siete persi il portafoglio, se non trovate lavoro, se dovete ricorrere al pallottoliere per arrivare a fine mese. Certo, direte voi, in queste situazioni non sempre si può essere positivi. Appunto. Il bicchiere non esiste. Sono io che lo creo in base a quello che sto vivendo e in base alla capacità che ho di assorbire i piccoli e grandi intoppi che l’esistenza mi pone davanti. Lo riempio, lo svuoto e se mi girano lo rompo, almeno mi scarico.
A volte vorrei riempirlo ma non posso, altre potrei bere ma non ho sete, altre ancora sono in grado di beneficiare anche di quelle poche gocce che ci sono, consapevole che una bella sorsata mi farebbe stare sicuramente meglio: così vado a cercare disperatamente una fontana, un rubinetto, una caraffa, un fiume, un qualunque luogo dove potrò dissetarmi a mio piacimento. Per un po’, per spegnere le fiamme che mi incendiano la gola, per non sentire più il sapore della sabbia che mi impasta la bocca.
Il bicchiere non esiste. E allora lo voglio grande, che possa tenerlo con tutte le dita di una mano, di vetro trasparente, solido, con i bordi spessi, in cui possa tuffare la mia bocca quando avrò sete, da cui potrò guardare il mondo divertendomi a vederlo deformato per gioco e in cui i raggi del sole passeranno per spagliarsi in mille schegge colorate… e lasciarlo fluttuare accanto a me.
I modi di dire, si sa, sono una forma di delicata saggezza popolare. Ma alcuni, concedetemelo, sono aria fritta gettata al vento da chi, in certi momenti, non sa riempire un silenzio o, semplicemente, non riesce a formulare un proprio pensiero da offrire a chi ne ha bisogno.
Ognuno ha la sua storia all’interno della quale ce ne sono mille altre. Prima di servirsi di luoghi comuni, basterebbe semplicemente ascoltare. La magra consolazione fatta di una soluzione qualunquista e la pacca sulla spalla non producono altro che stizza e, ahimè, un tantino di amarezza.
Arianna
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